mercoledì 16 dicembre 2009

Ma che bel blog =)
Chissà se qualcuno lo passa a riguardare ogni tanto. Bye

Gian. Fard.

mercoledì 24 dicembre 2008

La 3C regna!!!

By Fardella

martedì 22 luglio 2008

LA MITICA 3C

Salve a tutti siamo i grandi gianfard e ralbro

Ormai è passato piu di un mese dalla fine degli esami dove siamo stati tutti promossi...

Comunque la 3c era e resterà la classe migliore della storia della san domenico savio, con tutte le nostre bravate (*********** i cori del catania, ******** ecc...) , i nostri lavori (murales, video sul natale e le difficolta del mondo, progetto per parlare delle guerre nel mondo progetto P.O.N. , ecc...), la creazione di questo blog dove hanno lavorato tutti... La 3C ha segnato la storia della nostra (vecchia) scuola, tutto ciò (tranne le bravate) grazie all'aiuto di fantastiche persone che hanno saputo guidarci in un percorso importante come quello scolastico e sociale, ovvero i nostri prof e la preside...

Grazie a tutti per questi 11 anni insieme... non dimenticheremo mai la nostra cara scuola a cui dobbiamo quello che siamo diventati oggi...

Un saluto a tutti da i piu grandi alunni di sempre "Oo.Gianluca.oO" & .::*$*RAhuL*$*::.








(tecktonik killer 4 life)

lunedì 28 aprile 2008

Salvatore Quasimodo


Salvatore Quasimodo nacque a Modica il 20 agosto del 1901. Il padre era ferroviere e dunque era costretto a spostarsi frequentemente con la propria famiglia. Il piccolo Salvatore frequentò le prime classi a Gela dove probabilmente scrisse le prime poesie. Subito dopo il catastrofico terremoto del 1908 andò a vivere a Messina, dove Gaetano Quasimodo era stato chiamato per riorganizzare la locale stazione. Prima dimora della famiglia, come per tanti altri superstiti, furono i vagoni ferroviari. Un'esperienza di dolore tragica e precoce che avrebbe lasciato un segno profondo nell'animo del poeta. Nella città dello Stretto Quasimodo compì gli studi fino al conseguimento, nel 1919, del diploma presso l'Istituto Tecnico "A. M. Jaci", sezione fisico-matematica. All'epoca in cui frequentava lo "Jaci" risale un evento di fondamentale importanza per la sua formazione umana e artistica: l'inizio del sodalizio con Salvatore Pugliatti e Giorgio La Pira, che sarebbe poi durato tutta la vita.

Negli anni messinesi Quasimodo cominciò a scrivere versi, che pubblicava su riviste simboliste locali. Nel 1919, appena diciottenne, Quasimodo lasciò la Sicilia con cui avrebbe mantenuto un legame edipico, e si stabilì a Roma. In questo periodo continuò a scrivere versi che pubblicava su riviste locali soprattutto di Messina, trovò il modo di studiare in Vaticano il latino e il greco presso monsignor Rampolla del Tindaro.

L'assunzione al Ministero dei Lavori Pubblici, con assegnazione al Genio Civile di Reggio Calabria, assicurò finalmente a Quasimodo la sopravvivenza quotidiana. Ma l'attività di geometra, per lui faticosa e del tutto estranea ai suoi interessi letterari, sembrò allontanarlo sempre più dalla poesia e, forse per la prima volta, Quasimodo dovette considerare naufragate per sempre le proprie ambizioni poetiche. Tuttavia, il riavvicinamento alla Sicilia, i contatti ripresi con gli amici messinesi della prima giovinezza, soprattutto il "ritrovamento" con Salvatore Pugliatti, insigne giurista e fine intenditore di poesia, valsero a riaccendere la volontà languente, a far sì che Quasimodo riprendesse i versi del decennio romano, per limarli e aggiungerne di nuovi. Nasceva così in ambito messinese il primo nucleo di Acque e terre.

Nel 1929 Quasimodo si recò a Firenze, dove il cognato Elio Vittorini lo introdusse nell'ambiente di Solaria, facendogli conoscere i suoi amici letterati, da Alessandro Bonsanti, ad Arturo Loira, a Gianna Manzini, a Eugenio Montale, che intuirono subito le doti del giovane siciliano. E proprio per le edizioni di "Solaria" (che aveva pubblicato alcune liriche di Quasimodo) uscì nel 1930 Acque e terre, il primo libro della storia poetica di Quasimodo, accolto con entusiasmo dai critici dell'epoca, che salutarono la nascita di un nuovo poeta. Nel 1932 vinse il premio dell'Antico Fattore, patrocinato dalla rivista e nello stesso anno, per le edizioni di "circoli", uscì Oboe sommerso. Nel 1934 Quasimodo si trasferì a Milano, che segnò una svolta particolarmente significativa nella sua vita e non solo artistica. Accolto nel gruppo di "corrente" si ritrovò al centro di una sorta di società letteraria, di cui facevano parte poeti, musicisti, pittori, scultori. Nel 1936 Quasimodo pubblicò con G. Scheiwiller Erato e Apòllion (prefazione di Sergio Solmi) ancora un libro fortunato con cui si concluse la fase ermetica della sua poesia. Nel 1938 lasciò il lavoro al Genio Civile e iniziò l'attività editoriale come segretario di Cesare Zavattini, che più tardi lo farà entrare nella redazione del settimanale il "Tempo". Sempre 1938, per le "edizioni primi piani" uscì la prima importante raccolta antologica Poesie, con un saggio introduttivo di Oreste Macrì, che rimase tra i contributi fondamentali della critica quasimodiana. Il poeta intanto collaborava alla principale rivista dell'ermetismo, la fiorentina "letteratura".

Nel 1939-40 Quasimodo mise a punto la traduzione dei Lirici greci, che uscì nel 1942 nelle edizioni di "corrente" e che, per il suo valore di originale opera creativa, sarà poi ripubblicata e riveduta più volte. Sempre nel 1942 presso Mondadori uscì ed è subito sera. Nel 1941 gli venne concessa, per chiara fama, la cattedra di Letteratura Italiana presso il Conservatorio di musica "G. Verdi" di Milano. Insegnamento che terrà fino all'anno della sua morte.

Durante la guerra, nonostante mille difficoltà, Quasimodo continuò a lavorare alacremente: mentre continuava a scrivere versi, tradusse parecchi Carmina di Catullo, parti dell'Odissea, Il fiore delle Georgiche, il Vangelo secondo Giovanni, Edipo Re di Sofocle (tutti lavori che vedranno la luce dopo la liberazione). Un'attività questa di traduttore, che Quasimodo portò avanti negli anni successivi, parallelamente alla propria produzione e con risultati eccezionali, grazie alla raffinata esperienza di scrittore. Numerosissime le sue traduzioni: da Ruskin, Eschilo, Shakespeare, Molière, dall'Antologia Palatina, dalle Metamorfosi di Ovidio; e ancora da Cummings, Neruda, Aiken, Euripide, Eluard. Nel 1947, edita da Mondadori, uscì la sua prima raccolta del dopoguerra, Giorno dopo giorno, libro che segnò una svolta nella poesia di Quasimodo, al punto che si parlò e si continua a parlare di un primo e un secondo Quasimodo. Di fatto l'esperienza tragica e sconvolgente della seconda guerra mondiale, il profondo convincimento che l'imperativo categorico fosse quello di "rifare l'uomo" e che ai poeti spettasse un ruolo importante in questa ricostruzione, fecero sì che Quasimodo sentisse inadeguata ai tempi una poesia troppo soggettiva, rinunciasse al trobar clus della sua prima maniera e si aprisse a un dialogo più aperto e cordiale, soffuso di umana pietà, rimanendo però fedele al suo rigore, al suo stile. Quest'ultimo aspetto spiega da un lato perché la poesia resistenziale di Quasimodo supera quasi sempre lo scoglio della retorica e si pone su un piano più alto rispetto all'omologa poesia europea di quegli anni; dall'altro, che non c'è vera rottura: solo che, rimanendo coerente con le proprie ragioni poetiche, il poeta, sensibile al tempo storico che viveva, accoglieva temi sociali ed etici e di conseguenza variava il proprio stile.

Dal 1948 Quasimodo tenne la rubrica teatrale sul settimanale "omnibus" (nel 1950, sempre come titolare della stessa rubrica, passò al settimanale il "tempo"). Nel 1949 uscì presso la Mondadori La vita non è un sogno, ancora ispirato, anche se un pò stancamente, al clima resistenziale. Nel 1950 Quasimodo ricevette il premio San Babila e nel 1953 l'Etna-Taormina insieme a Dylan Thomas. Nel 1954 uscì per la casa editrice Schwarz Il falso e vero verde; un libro di crisi, con cui inizia una terza fase della poesia di Quasimodo, che rispecchia un mutato clima politico. Dalle tematiche prebelliche e postbelliche si passa a poco a poco a quelle del consumismo, della tecnologia, del neocapitalismo, tipiche di quella "civiltà dell'atomo" che il poeta denuncia mentre si ripiega su se stesso e muta ancora una volta la sua strumentazione poetica. Il linguaggio ridiventa complesso, più scabro; Quasimodo media lessemi anche dalla cronaca, il ritmo si fa più secco, suscitando perplessità in quanti vorrebbero il poeta sempre uguale a se stesso. Seguì nel 1958 La terra impareggiabile (Mondadori, Milano), premio Viareggio. Ancora nel 1958 Quasimodo mise a punto l'antologia della Poesia italiana del dopoguerra; nello stesso anno compì un viaggio in URSS, nel corso del quale venne colpito da infarto, cui seguì una lunga degenza all'ospedale Botkin di Mosca.

Il 10 dicembre 1959, a Stoccolma, Salvatore Quasimodo ricevette il premio Nobel per la letteratura e lesse il discorso Il poeta e il politico, venne pubblicato l'anno dopo nell'omonimo volume (Schwarz, Milano 1960) che raccoglie i principali scritti critici di Quasimodo. Al Nobel seguirono moltissimi scritti e articoli sulla sua opera, con un ulteriore incremento delle traduzioni.

Nel 1960, dall'Università di Messina gli venne conferita la laurea honoris causa; inoltre fu insignito della cittadinanza di Messina. Sempre nel 1960 sul settimanale "Le Ore" gli venne affidata una rubrica di "colloqui coi lettori", che tenne fino al 1964, quando passò al "tempo" con una rubrica simile. Nel 1966 Quasimodo pubblicò il suo ultimo libro, Dare e avere; un titolo emblematico per una raccolta che è un bilancio di vita, quasi un testamento spirituale (il poeta infatti sarebbe morto appena due anni dopo).

Nel 1967 l'Università di Oxford gli conferì la laurea honoris causa.

Colpito da ictus il 14 giugno 1968 ad Amalfi, dove si trovava per presiedere un premio di poesia, morì sull'auto che lo trasportava a Napoli.

Giuseppe Ungaretti


Nasce ad Alessandria d'Egitto l'8 febbraio 1888 (ma venne denunciato all'anagrafe come nato il 10 febbraio, e festeggiò sempre il suo compleanno in quest'ultima data) da genitori di Lucca, che vi erano emigrati sia per motivi di lavoro sia per le loro idee anarchiche. Il padre, operaio allo scavo del Canale di Suez, morirà due anni dopo la nascita del poeta. La madre era fornaia. Può comunque fare gli studi superiori in una delle più prestigiose scuole di Alessandria. Nella prima giovinezza entra in contatto con le associazioni anarchiche e socialiste degli emigrati italiani. Legge Baudelaire, Leopardi e Nietzsche.

Alla morte del padre, avvenuta nel 1890 per un infortunio, la madre, Maria Lunardini, continuò a prendersi cura del forno riuscendo così a mantenere decorosamente il figlio che poté frequentare la École Suisse Jacot.

L'amore per la poesia nacque durante questi anni di scuola e si intensificò grazie alle amicizie che egli strinse nella città egiziana, ricca di stimoli.

Al 1906 risale l'incontro con Enrico Pea, suo conterraneo e da poco tempo emigrato in Egitto, che spinse il giovane Ungaretti a seguire tendenze di carattere anarchico e con il quale condivise l'esperienza della "Baracca Rossa".

In questi anni, attraverso la rivista "Mercure", il giovane si avvicinò alla letteratura francese e, grazie all'abbonamento che aveva con la "Voce", alla letteratura italiana iniziando così a leggere le opere di Rimbaud, Mallarmé, Leopardi, Baudelaire e Nietzsche.

Nel 1912 Ungaretti, dopo un breve periodo trascorso al Cairo, lasciò l'Egitto e si trasferì a Parigi dove frequentò per due anni le lezioni, in particolare quelle di Bergson, di Bédier e di Strowschi, alla Sorbonne e al Collège de France.

Venuto a contatto con l'ambiente artistico internazionale conobbe Apollinaire, con il quale strinse una solida amicizia, Giovanni Papini, Ardengo Soffici, Palazzeschi, Picasso, De Chirico, Modigliani e Braque. Invitato da Papini, Soffici e Palazzeschi iniziò la collaborazione alla rivista Lacerba sulla quale pubblicherà, nel 1915, le sue prime poesie.

In Francia Ungaretti filtrò le precedenti esperienze, eliminandone le scorie. Dopo qualche pubblicazione su Lacerba, la guerra fu per Ungaretti il tempo della scoperta dell'umanità povera, dolente quotidiana. Tale esperienza si trova nel Porto Sepolto ed in Allegria di Naufragi che è il primo documento di una nuova poesia che, dopo D'Annunzio, ripartiva da zero, dalla parola nuda ed isolata.

Nel 1914 tornò in Italia dove partecipò alla campagna interventista e quando scoppiò la Prima guerra mondiale si arruolò volontario nel 19° reggimento di fanteria. Combatté sul Carso e in seguito a questa esperienza scrisse le poesie che, raccolte dall'amico Ettore Serra, saranno stampate in 80 copie presso la Tipografia di Udine nel 1916 con il titolo Il porto sepolto. Collaborava a quel tempo anche al giornale di trincea Sempre Avanti.

Nella primavera del 1918 il reggimento al quale apparteneva Ungaretti andò a combattere in Francia nella zona della Champagne e al termine della guerra il poeta rimase a Parigi dapprima come corrispondente del giornale fascista "Il Popolo d'Italia", e in seguito impiegato all'ufficio stampa dell'ambasciata italiana.

Nel 1919 venne stampata a Parigi la raccolta di poesie francesi La guerre che sarà inserita nella seconda raccolta di poesie Allegria di naufragi pubblicata a Firenze nello stesso anno e nel 1920 il poeta sposerà Jeanne Dupoix dalla quale avrà due figli, Ninon e Antonietto.

Nel 1921 si trasferì a Roma e collaborò all'Ufficio stampa del Ministero degli Esteri. Gli anni venti segnarono un cambiamento nella vita privata e culturale del poeta. Egli aderì pienamente al fascismo firmando il Manifesto degli intellettuali fascisti nel 1925 e nel 1928 ebbe una vera conversione religiosa.

In questi anni egli svolse una intensa attività su quotidiani e riviste francesi e italiane e compì diversi viaggi in Italia e all'Estero per tenere alcune conferenze ottenendo vari riconoscimenti di carattere ufficiale. Furono questi anche gli anni della maturazione dell'opera Sentimento del tempo le cui prime pubblicazioni avvennero su "L'Italia letteraria" e "Commerce". Intanto nel 1923 venne ristampato Il porto sepolto a La Spezia con una prefazione di Benito Mussolini.

A partire dal 1931 ebbe l'incarico di inviato speciale per La Gazzetta del popolo e si recò in Egitto, in Corsica, in Olanda e nell'Italia meridionale raccogliendo così il frutto delle esperienze vissute in Il povero nella città che sarà pubblicato nel 1949 e Il deserto e dopo che vedrà la luce solamente nel 1961.

Nel 1933, con la pubblicazione della raccolta Il sentimento del tempo il poeta raggiunse il massimo della sua fama.

Nel 1936, durante un viaggio in Sud America venne invitato ad insegnare letteratura italiana presso l' Università di San Paolo del Brasile e decise così di trasferirsi con tutta la famiglia a San Paolo dove rimarrà fino al 1942 e dove nel 1939 morirà il figlio Antonietto, all'età di nove anni, per un'appendicite mal curata, lasciando il poeta in uno stato di grande dolore che si risentirà anche in molte delle poesie raccolte ne Il dolore del 1947 e in Un grido e paesaggi del 1952.

Nel 1942 Ungaretti ritornò in Italia e venne nominato Accademico d'Italia e per chiara fama professore di letteratura moderna e contemporanea presso l' Università di Roma, ruolo che mantenne fino al 1958 e poi - come "fuori ruolo" fino al 1965. Intorno alla sua cattedra si formarono alcuni intellettuali che in seguito si distinsero per importanti attività culturali e per notevoli carriere accademiche, come Leone Piccioni, Luigi Silori, Mario Petrucciani, Guido Barlozzini, Raffaello Brignetti, Ornella Sobrero, Elio Filippo Accrocca. In Italia si fece conoscere con le sue intense letture di poesie, che fecero scoprire la vocazione poetica a Elio Fiore.

Caduto il regime fascista, il poeta si adattò al nuovo clima del dopoguerra e venne sempre rispettato da tutti e, pur ritenendosi poeta ufficiale, fu sempre disponibile e attento ad accogliere i nuovi echi della letteratura nascente.

Pubblicò altre raccolte e volumi e si dedicò con entusiasmo a quei viaggi che gli davano modo di diffondere la sua poesia tenendo ovunque conferenze, letture delle sue poesie e ottenendo premi, come il "Premio Montefeltro" nel 1960, il premio Etna-Taormina nel 1966 e il premio internazionale dell'Oklahoma negli Stati Uniti che gli costò un faticoso viaggio. Nella notte tra il 31 dicembre 1969 e il 1°gennaio 1970 scrisse l'ultima poesia L'impietrito e il velluto pubblicata in una cartella litografica il giorno dell'ottantaduesimo compleanno del poeta. Morì a Milano nella notte tra il 1° e il 2 giugno. I funerali si svolsero a Roma, nella Chiesa di San Lorenzo fuori le Mura il 4 giugno. Non vi partecipò alcuna rappresentanza ufficiale del governo italiano.

lunedì 31 marzo 2008

Il pensiero

Pirandello fotografato negli anni ventiPirandello si occupò di questioni teoriche fin da giovane. Si avvicinò alle teorie dello psicologo Alfred Binet. Pubblicò nel 1908 i saggi Arte e Scienza e L'umorismo caratterizzati da un'esposizione di stile colloquiale, molto lontana dal consueto discorso filosofico. Le due opere sono espressione di un'unica maturazione artistica ed esistenziale che ha coinvolto lo scrittore siciliano all'inizio del '900 e che vede come centrale proprio la poetica dell'umorismo.

L'umorismo
Nel saggio "L'umorismo" Pirandello distingue il comico dall'umorismo. Il primo, definito come "il sentimento del contrario", nasce quando si vuol dare un'immagine diversa da quella che realmente é. Nel saggio citato Pirandello ce ne fornisce un esempio:
«Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di qual orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d'abiti giovanili. Mi metto a ridere. "Avverto" che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una rispettabile signora dovrebbe essere. Posso così, a prima giunta e superficialmente, arrestarmi a questa espressione comica. Il comico è appunto un "avvertimento del contrario».

L'umorismo invece nasce da una meno superficiale considerazione della situazione:
«Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente, s'inganna che, parata così, nascondendo le rughe e le canizie, riesca a trattenere a sé l'amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l'umoristico».

Mentre quindi il comico genera quasi immediatamente la risata perchè mostra subito la situazione evidentemente contraria a quella che dovrebbe normalmente essere, l'umorismo nasce da una più ponderata riflessione che genera una sorta di compassione da cui si origina un sorriso di comprensione. Nell'umorismo c'è il senso di un comune sentimento della fragilità umana da cui nasce un compatimento per le debolezze altrui che sono anche le proprie. L'umorismo è meno spietato del comico che giudica in maniera immediata.

« non ci fermiamo alle apparenze, ciò che inizialmente ci faceva ridere adesso ci farà tutt'al più sorridere. »

La disgregazione dell'io L'analisi dell'identità condotta da Pirandello lo portò a formulare la teoria della disgregazione dell'io. In un articolo del 1900 scrisse:

« Il nostro spirito consiste di frammenti, o meglio, di elementi distinti, più o meno in rapporto tra loro, i quali si possono disgregare e ricomporre in un nuovo aggregamento, così che ne risulti una nuova personalità, che pur fuori dalla coscienza dell'io normale, ha una propria coscienza a parte, indipendente, la quale si manifesta viva e in atto, oscurandosi la coscienza normale, o anche coesistendo con questa, nei casi di vero e proprio sdoppiamento dell'io. [...] Talché veramente può dirsi che due persone vivono, agiscono a un tempo, ciascuna per proprio conto, nel medesimo individuo. Con gli elementi del nostro io noi possiamo perciò comporre, costruire in noi stessi altre individualità, altri esseri con propria coscienza, con propria intelligenza, vivi e in atto. »


Quando si arriva alla perdita dell'identità si entra nella follia, tema centrale in molte opere, come l’Enrico IV o come Il berretto a sonagli, nel quale Pirandello inserisce addirittura una ricetta per la pazzia: dire sempre la verità, la nuda e cruda e tagliente verità, infischiandosene dei riguardi e delle maniere, delle ipocrisie e delle convenzioni sociali. Questo comportamento porterà presto all'isolamento da parte della società e, agli occhi degli altri, alla pazzia.

Il relativismo psicologico
Dal contrasto tra la vita e la forma nasce il relativismo psicologico che si esprime in due sensi: orizzontale, ovvero nel rapporto interpersonale, e verticale, ovvero nel rapporto che una persona ha con se stessa.

Gli uomini nascono liberi ma il Caso interviene nella loro vita precludendo ogni loro scelta: l'uomo nasce in una società precostituita dove ad ognuno viene assegnata una parte secondo la quale deve comportarsi.

Ciascuno è obbligato a seguire il ruolo e le regole che la società impone, anche se l'io vorrebbe manifestarsi in modo diverso: solo per l'intervento del caso può accadere di liberarsi di una forma per assumerne un'altra, dalla quale non sarà più possibile liberarsi per tornare indietro, come accade al protagonista de Il fu Mattia Pascal

L'uomo dunque non può capire né gli altri né tanto meno sé stesso, poiché ognuno vive portando - consapevolmente o, più spesso, inconsapevolmente - una maschera dietro la quale si agita una moltitudine di personalità diverse e inconoscibili.

Queste riflessioni trovano la più esplicita manifestazione narrativa nel romanzo Uno, nessuno e centomila:

Uno: perché ogni persona crede di essere un individuo unico con caratteristiche particolari;
Centomila perché l'uomo ha, dietro la maschera, tante personalità quante sono le persone che ci giudicano;
Nessuno perché, paradossalmente, se l'uomo ha 100.000 personalità invero non ne possiede nessuna, nel continuo cambiare non è capace di fermarsi nel suo vero "io".

La patente

La novella inizia con il protagonista (Rosario Chiarchiaro) pronto ad andare in tribunale tutto vestito di nero per chiedere una strana "patente". Essa consisteva in questo: era una patente che affermava che il Sig. Chiarchiaro era un portatore di sfortuna. Ormai disoccupato Chiarchiaro vide in questa patente l'unica fonte di guadagno. Il suo obiettivo era di andare nei posti di lavoro e chiedere soldi, se i proprietari rifiutassero la richiesta, Chiarchiaro avrebbe dato loro eterna sfortuna.

In questa novella Pirandello fa emergere la sua poetica attraverso il "gioco delle maschere", l'umorismo e il relativismo psicologico. La prima poetica viene mostrata attraverso il Sig. Chiarchiaro. Esso infatti ha la maschera da iettatore, tutti nel paese gliela attribuiscono e lui ne approfitta per i suoi guadagni. L'umorismo viene mostrato dalla vita di Chiarchiaro, infatti lui per i suoi modi di fare puo sembrare comico, ma se riflettiamo più a fondo capiamo che lui è costretto a comportarsi così per vivere. Il concetto di relatività viene afferrato con Chiarchiaro. Esso è un padre di famiglia, un marito, e per la gente del paese è uno iettatore.

Gianluca The Boss & Rahul Bro

domenica 23 marzo 2008

Buonasera prof sn nicky le volevo fare gli auguri di buona pasqua anche se in ritardo, gli faccia gli auguri da parte mia anche ai suoi figli e a suo marito nn vedo l'ora di tornare a scuola sento molto la sua mancanza oltre a lei volevo fare gli auguri di buona pasqua a delle persone molto importanti che sn i miei compagni di classe auguri ragazzi e speriamo che quando torniamo a scuola alcuni prof siano + buoni auguri ancora dalla vostra compagna
1 grosso bacio da nicky
prof l.v.1.c.d.b. a mercoledi

lunedì 10 marzo 2008

un giorno nel medioevo

è con orgoglio che pubblico il lavoro di un alunno della IC, Gaetano Libranti, che si è catapultato, con competenza e ironia, nel difficile e avvincente mondo del medioevo. Bravo Gaetano!!!!

Io sono Gaetano da Navarra,marchese della marca spagnola,uno dei migliori vassalli del re.
Io e il re ci siamo conosciuti appena nati. Siamo cresciuti insieme e ci siamo allenati insieme. Quando il suo povero padre morì lui prese il possesso del trono e mi nominò suo vassallo concedendomi la marca dove regno tuttora.
La mia marca è molto difficile da governare così l’ho divisa con sette valvassori. I valvassori affidano alcuni terreni a dei valvassini che hanno molte coltivazioni. Ogni tanto faccio un giro dei feudi per riscuotere le tasse e per vedere se tutto va per il verso giusto.
A volte invito amici,conti e marchesi per delle battute di caccia e se riusciamo a prendere abbastanza selvaggina il nostro buon cuoco cucina uno stupendo banchetto.
Io mi distinguo da valvassori e valvassini per varie cose :il portamento,l’abitazione ma anche e soprattutto per l’abbigliamento . Io indosso sempre una tunica,un mantello color porpora,un coprispalle e una corona non bella come la corona imperiale ma comunque una bella corona.
Qualche volta il re organizza dei banchetti dove invita tutti i vassalli. Dopo aver mangiato ci riuniamo per parlare di cose serie : come vanno le cose,com’è amministrata la marca o la contea e cose di questo genere.
Purtroppo non tutte le giornate sono tranquille perché vivendo in una marca molto spesso capita di dover fare una guerra o una battaglia per respingere gli altri popoli o per allargare l’impero.